19 novembre 1978

Oggi nel nostro articolo non racconteremo di un aneddoto ma di un passaggio di testimone, un’eredità che colpisce per ciò che questi due artisti avevano in comune, malgrado le divergenze delle loro lezioni. A tramandarci la suggestione per la storia di oggi è una fotografia. Scattata nel 1974 da Gianfranco Gorgoni, l’istantanea ritrae insieme Giorgio de Chirico e Andy Warhol. La straordinarietà di questa foto e la fortuna che la caratterizza, stanno nel fatto che, in una rilettura allegorica che ci permettiamo di avvalorare, de Chirico trasmette a Warhol la sua concezione dell’ombra. Interiorizzata, matura e cosciente, questa visione del mondo dell’ombra di de Chirico è frutto di una ricerca metafisica meticolosa e ieratica dove l’elemento ombra è caratterizzante di un momento, di una storia. Il maestro italiano sembra governare con consapevolezza e quiete una verità che sconvolge l’ancor giovane Warhol; una verità che egli tenderà ad esorcizzare e smembrare in una ricerca più affannosa e nevrotica, quasi spasmodica. Quattro anni dopo lo scatto, nel dicembre del 1978, ad espressione di questa sua acquisizione, Wharol presenterà al pubblico una sua serie: Ombre. De Chirico morì solo un mese prima. Il preludio di questa presentazione fu quindi la morte del maestro della metafisica; le ombre, raccoltesi per un’ultima volta intorno al maestro ormai novantenne, lo lasciano per trovare definitivamente dimora nell’arte popolare di Wharol. Egli le concepirà nella totale assenza del racconto pittorico sostituendo il carattere soprannaturale di cui erano infuse nella metafisica di de Chirico con una serialità desacralizzante. Lo stesso Warhol, un anno dopo, rilasciando un intervista ad Achille Bonito Oliva, si espresse così su de Chirico: “La sua opera mi piaceva moltissimo. Mi piace la sua arte e l’idea che egli abbia sempre ripetuto gli stessi quadri. Mi piace molto questa idea e mi sono detto che sarebbe stato fantastico farlo”.

Le ombre trovarono in Warhol il loro mezzo di riproduzione artistica.

Nella serie monumentale intitolata Shadows e concepita come un unico quadro diviso in più parti, con 102 pannelli di tela serigrafati (e come il nastro di una pellicola cinematografica), l’artista ci presenta un altro enigma da risolvere nascosto dietro la ripetizione meccanica di una sola immagine (sia nella sua versione positiva che quella negativa).

Se pur al primo sguardo possa sembrare insignificante, la ripetitività nell’arte di Andy Warhol parla per sé, parla di un mondo di apparenze, un mondo dove l’aspetto metafisico perde il suo valore, per cui, non è mai una semplice riproduzione della cultura popolare come di solito viene interpretata. Anzi, la sua arte nasconde un criticismo verso questa società di massa, di consumatori, dove il misticismo e la ricerca filosofica, presente nei quadri di Giorgio de Chirico, sparisce, dando il posto ai prodotti popolari e ai nuovi stili di vita. A conferma di ciò, ci sono anche le dichiarazioni dell’artista, il quale, rispondendo alla domanda su questa realizzazione, si ferma al fatto superficiale: “Sono passato nella discoteca durante la verniciatura, e immagino che un decoro da discoteca dovrebbe essere fatto così”. Una semplice frase come questa riflette la problematizzazione nell’analisi dell’arte di Warhol sintetizzata  – tra l’altro – nella sua famosa frase: “Tutto è arte e niente è arte”, propugnando così la sua personalissima riflessione filosofica.

Una precisazione doverosa: non amiamo usare le date della morte di un’artista per prendere spunto per le nostre storie; difficilmente la morte può descrivere un evento significativo per raccontare qualcosa delle vita di un essere umano e più nello specifico di un artista. Ciò che il loro lavoro rappresenta è qualcosa che anticipa e travalica gli orizzonti temporali innescati e conclusi con nascite e morti. Il caso di oggi è quindi un caso straordinario, finora unico, ma nella sua straordinarietà rispetta quella che per ora riteniamo essere una nostra personalissima regola. De Chirico perisce il 19 novembre del 1978 a Roma. Nel giorno che precede la sua dipartita un’ombra aliena addirittura alla sua arte lo ammanta: è l’ombra della morte che da lì a qualche ora lo prenderà con sé. Le ombre terrene, per quanto potessero esserlo nella concezione metafisica dell’artista, ricusano questa compagna ma se nel mondo dell’arte trovano nuova espressione e vita in Warhol, come ombre metafisiche periscono con il loro creatore.

Certamente, non possiamo provare che il 19 novembre 1978, al di là dell’esperienza sensibile, si sia dato il là per una transizione della concezione dell’ombra nel mondo dell’arte. Sicuramente, però, vogliamo offrire il nostro omaggio a de Chirico attraverso una visione che cerca di andare oltre la sua morte e alla natura fisica delle cose.

E se proprio è vero che non abbiamo prove per poter affermare quanto abbiamo detto, chi ne avrebbe per dire il contrario?

Andy Warhol
Ombre
1978
Serigrafie su tela
102 tele 190 x 125 cm
Bilbao, Museo Guggenheim

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