24 settembre 1600

Era una domenica anche il 24 settembre del 1600, giorno in cui Caravaggio ricevette l’incarico di rappresentare sia La conversione di San Paolo che La crocifissione di Pietro. I due dipinti, compiuti entrambi tra la fine del 1600 e del 1601, sono un importante testimonianza del realismo che caratterizzava le sue opere. Nella conversione, Saulo viene folgorato sulla via di Damasco in modo del tutto inusuale. L’icona divina è assente se non per la luce che acceca San Paolo e illumina la scena creando un’atmosfera completamente diversa da alcune rappresentazioni manieristiche: non è presente la figura del Cristo e l’episodio sembra ritratto più nella sua dimensione umana che nell’atto divino. Pur accogliendo la possibile inferenza del committente, il monsignor Tiberio Cerasi, la scelta di Caravaggio resta distintiva, allontanandosi dalla precedente tradizione.

Questo capolavoro sostituì la prima versione di matrice ancora manieristica, divenendo soggetta di numerose interpretazioni le quali nutrivano il mito del pittore anticonformista e costantemente restio a rispettare le regole. Questa sostituzione ci invita a riflettere sul perché Caravaggio abbia realizzato una seconda versione del quadro. L’ipotesi più accreditata – basata su un’affermazione di Giovanni Baglione, storico rivale di Caravaggio – è che la prima versione su tavola venne rifiutata dal committente. D’altra parte, la spiegazione di questo cambio drastico potrebbe essere un semplice adattamento agli spazi destinati per i suoi dipinti, avendo egli sempre in mente l’osservatore e l’effetto che l’opera avrebbe dovuto suscitare con l’intento di annullare la barriera tra lo spazio dipinto e quello reale.

Anche questa tela è stata argomento di molteplici discussioni e interpretazioni avendo, come protagonista principale, il cavallo (anzi il suo derrière) al posto del santo. Giovani Paolo Lomazzo, pittore manierista, nel suo Trattato dell’arte de la pittura, afferma che: “nei luoghi religiosi le facciate e tavole vanno collocate in modo che conformino alla nobiltà degli occhi, come sarebbe a dire che le parti posteriori de’ cavalli, ed altri animali, non si vegano davanti, ma di dietro, come parte indegna d’esser vista, ma gli si faccia mostrare il fronte, e si lascino le parti che possono offender gli occhi indietro”; è facile intuire quindi come La conversione potesse risultare indecorosa.

L’opera, però, deve essere contestualizzata sia nel panorama di allora, marcato da profondi cambiamenti nella chiesa cattolica, sia in quello odierno, dove è ancora possibile ammirarla nella cappella di Santa Maria del Popolo a Roma. Il messaggio riflesso da questo lavoro di contestualizzazione storica trasmette a noi un significato profondamente diverso sull’arte di Caravaggio: tutt’altro che indecoroso, il Merisi è considerato un artista rivoluzionario reso celebre dall’intenso naturalismo dei suoi soggetti e dall’utilizzo della ‘luce radente’.

Questa tecnica lega l’arte di Caravaggio alla fotografia e al cinema e La conversione di San Paolo ad un regista particolare: Sergio Leone. Coincidenza vuole che il regista premio oscar Bernardo Bertolucci si complimentò con il collega creatore di spaghetti western per il modo in cui riprendeva i cavalli: “dissi che mi piaceva il modo con cui filmava i culi dei cavalli. In generale, nei western sia italiani che tedeschi, i cavalli venivano ripresi frontalmente e di fianco – di profilo. Ma quando li filmi tu, gli dissi, mostri sempre i didietro; un coro di didietro. Sono pochi i registi che riprendono il retro, che è meno retorico e romantico. Uno è John Ford. L’altro sei tu”.

Caravaggio,
Conversione di San Paolo,
1600/1601,
Olio su tela,
230x175cm,
Roma, Santa Maria del Popolo

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