26 novembre 1903

È il 26 novembre del 1903 e un celebre e indispettito Gustav Klimt scrive al Ministero richiedendo che alcune sue opere vengano esposte nell’Aula Magna dell’Università di Vienna. Di lì a poco, nel dicembre dello stesso anno, il giornale della secessione viennese, il Ver Sacrum, blocca le rotative per sempre. Negli anni a cavallo tra il Diciannovesimo ed il Ventesimo secolo, in un clima di fervida partecipazione popolare e dell’élite culturale intorno ai temi della res publica, l’artista austriaco viene incaricato dal Ministero della Cultura e dell’Istruzione di decorare il più importante ambiente dell’Alma Mater Rudolfina. Nel fare ciò, iniziando il suo lavoro nel 1898, Klimt si propone di rappresentare delle antropomorfizzazioni delle tre Facoltà caratterizzanti l’ateneo viennese: Filosofia, Medicina e Giurisprudenza.

La vicenda che raccontiamo oggi è fondamentale per comprendere il rapporto dell’artista con le commissioni statali e lo spirito che muoveva il suo pennello. Acceso sostenitore dell’arte pubblica, Klimt vedeva in essa l’unico modo per svincolare l’opera dalla sua mercificazione e per coniugarla anzi in un paradigma non elitario dove l’architettura fosse integrata alla pittura. Per queste ragioni, è facile presumere la delusione che deve aver provato quando, nel 1900, alla presentazione della prima delle tre opere durante la VII mostra della Secessione; Philosophie, infatti, ricevette numerose critiche. A mostrare tale sdegno furono gli stessi professori dell’Università che – in numero consistente (si parla di quasi 90 Professori) – decisero di protestare contro tale realizzazione capeggiati dal rettore stesso. A scatenare questa indignazione fu la proposta allegorica posta nelle intenzioni dell’artista. Nel pannello, un gruppo di corpi femminili e maschili avviluppati tra loro, come in trance, avrebbero dovuto secondo Klimt, rappresentare nascita,  fecondità e morte. Come un universo enigmatico che emerge dalle nebbie dell’incoscienza, un globo terrestre affiora alla destra dei corpi con le parvenze di un volto umano: al di là delle vicende degli uomini e del loro ciclo mortale, l’oscuro mistero resta inoppugnabile e l’unico squarcio delle tenebre non può che giungere dalla sapienza, figura di pura luce che – emergente dal basso – illumina i corpi degli uomini. Le rappresentazioni tradizionali confortevoli per il pubblico viennese vengono meno e una marea di membra simboliche trasmettono la disperazione o la serenità che contraddistingue l’essere umano comune; non il genio del passato da celebrare, ma il senso stesso della sapienza che getta la luce lì dove è più fitta la tenebra e lì dove Philosophie per prima si è spinta. Questa visione non venne apprezzata però dal pubblico accademico che vide in quei  copri solo un ammasso di carne sensualmente rappresentata, come in un’orgia dannata: il girone klimtiano dei lussuriosi. Eppure c’è altro nel lavoro di Klimt, altro che egli cerca di portare avanti nonostante le proteste, lo sdegno e le lettere di rimostranze portare alla attenzione del Ministero della Cultura e dell’Istruzione, lettere che caldeggiavano una revisione sulla commissione stabilita nel 1894 a favore dell’artista. Egli non si arrese. Nel 1901, Medicina, gravida, è sospesa tra scheletri e corpi nudi, ancora una volta per i suoi detrattori, tra anatomia e puro delirio sensuale ed orgiastico. Questa volta, non solo l’opera registrò un altissimo numero di curiosi visitatori (quasi quaranta mila) ma preparò il terreno per la definitiva rovina del trittico. Due anni dopo, nel 1903, viene presentata Giurisprudenza ed è la goccia che fa traboccare il vaso: viene istituita addirittura una interrogazione parlamentare che come scopo ha di dichiarare le opere inadatte ad essere esposte nell’Aula Magna dell’Università. L’esito di questa proposta fu positivo. Le opere vennero dunque fatte spostare nella Galleria d’Arte Moderna edificata in quegli anni.

Il rammarico di Klimt fu tale che egli scrisse di suo pugno al Ministro Von Hartel di ricollocare i pannelli lì dove sarebbero dovuti rimanere. Purtroppo non ebbe fortuna e – come detto – questa vicenda causò la rovina materiale stessa delle decorazioni. Due anni dopo, Klimt spiegava a la sua amica Berta Zuckerkandl come il motivo del suo dispiacere non fosse frutto delle critiche quanto della delusione per aver perso la considerazione da parte di un committente pubblico: “Ho rinunciato all’incarico che mi era stato affidato dal Ministero dell’Istruzione, non perché mi senta offeso dai molti attacchi sferrati contro di me. Io sono insensibile agli attacchi.  Il Ministero mi ha fatto capire che sono motivo di imbarazzo. Per un artista non c’è niente di più penoso che creare opere, ricevendo un compenso, per un committente che non lo appoggia pienamente col cuore e la ragione”.

Klimt proseguì la sua carriera di artista illuminato ed affermato sotto diversi mecenati e addirittura, nel 1907, riuscì ad acquistare il suo trittico decorativo rielaborandolo completamente.

La storia si sarebbe potuta concludere qui ma purtroppo questa è una storia senza un lieto fine. Dopo la morte dell’artista, avvenuta nel 1918, due industriali acquistarono i tre fakultätsbilder che vennero in seguito requisiti dai nazisti nel 1938. Dopo una mostra celebrativa nella quale vennero esposti, nel 1943, i quadri vennero spediti nel famoso castello di Immendorf che divenne una sorta di magazzino di opere d’arte comprendente la maggior parte della collezione dell’artista che altro non era che gran parte della private collection dell’industriale Lederer.

Purtroppo Immendorf fu l’ultima dimora di quelle opere: nel 1945, le SS, pur di non lasciare in mano alle truppe russe il castello e le opere d’arte custodite, lo incendiarono bruciando così anche tutto ciò che era al suo interno. Di Philosophie, Medicina e Giurisprudenza non restano che foto in bianco e nero, memento per coloro che le osservano e motivo di grande rammarico.

Nel film The Monuments Men, la capace e coraggiosa regia di George Clooney, riadatta su pellicola il libro di Robert Morse Edsel che tratta di un gruppo di intrepidi che fanno di tutto per salvare delle opere d’arte dalla rovina nazista e permettere alle generazioni future di poterne godere a costo della vita. E se anche ci piacerebbe poter rimanere nel campo della fiction o quantomeno del passato lontano, il nostro pensiero non può che rivolgersi alle distruzioni occorse di recente alle città assire di Nimrud ed Hatra, a Mosul, a Raqqa e a Palmira, antiche testimoni innocenti di una follia sanguinaria che perseguita l’essere umano da sempre e che sembra riuscire a spazzar via anche quanto di monumentale sia egli capace di realizzare.

Per noi e i posteri non resta che la memoria e abbiamo  l’obbligo di farne sempre il miglior uso possibile.

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